Buon ciao lettori! Come dice una mia amica :-)
Oggi sono lieta di ospitare Fabio Girelli in questo nuovo appuntamento della la rubrica "Incontro con l'autore".
Girelli è l'auotre del giallo Tutto il villaggio lo saprà, di cui tra pochi giorni potrete leggere la mia recensione!
1) Ciao Fabio e benvenuto! Ti vuoi brevemente presentare ai nostri lettori? Chi è Fabio Girelli?
Già
si parte con le domande difficili. Mi limito ai dati anagrafici: ho 32 anni,
vivo tra Torino e Biella, sono uno dei tanti laureati in Lettere che per vivere
fa tutt’altro, infatti ho un negozio d’abbigliamento.
Ho insegnato, fatto
ricerca e studiato, ma alla fine ho capitolato e ho cercato un mestiere che mi
permettesse un guadagno più "sicuro".
Però, per fortuna, ho conservato le mie
passioni: la letteratura, la musica, la scrittura. Ogni momento libero lo
dedico a questo.
2)
Cos’è che ti ha portato verso la scrittura?
Direi
la lettura. Micheal Ende ne “La Storia Infinita” ci spiega meravigliosamente,
con le parole di Bastian, cosa prova un lettore quando si immerge in una
storia: la vive, prova le stesse emozioni dei personaggi, le loro sensazioni,
le gioie e i dolori nati dalla potenza ‘divina’ della parola, della narrazione.
Dopo aver letto tanto, a un certo punto, ho provato il bisogno di creare io stesso
un mondo in cui qualcun altro potesse trovare una storia da scoprire,
personaggi in cui immedesimarsi.
La necessità di comunicare quello che io
stesso vedevo e che non volevo far scomparire nel flusso del tempo. La parola "eterna" ciò che tocca, è l’unico potere che la natura ci ha concesso. Ma è
meraviglioso.
3)
C’è un autore o un’autrice che è stato d’esempio per te?
Più
che uno direi tantissimi. Anche perché l’esempio,
nel caso di certi autori, non si è limitato alla pagina scritta, ma è sfociato
nella vita.
Non ricordo chi, forse Montale, diceva che un buon libro ti fa
venire voglia di conoscerne l’autore, una volta finito, di averlo come amico.
Ecco, la penso esattamente così. Ci sono autori che avrei voluto conoscere,
poeti e romanzieri che hanno influito sul mio modo di pensare. La mia educazione sentimentale, per dirla con
Flaubert.
Montale è proprio uno di loro, ma anche Neruda, Manzoni, Camus, Dylan
(Bob), De André, Vargas, Yourcenar, Tolkien, solo per citare i primi che mi
vengono in mente.
Se
invece l’esempio è puramente tecnico,
direi che Fred Vargas è l’autrice a cui maggiormente mi ispiro, una giallista figlia
di un surrealista e specializzata in epidemiologia, è strepitosa.
4)
E’ vero che prima di scrivere il tuo primo romanzo, “Tutto il villaggio lo
saprà”, hai esordito come autore di poesie? Come mai questo passaggio da poeta
a romanziere?
È
vero. La mia prima pubblicazione, frutto di un concorso vinto, era una raccolta
di poesie: Qui coltiva il suo orticello
PedroNessuno, scampato per miracolo dal girone anagrafico.
Titolo un po’
barocco, a rileggerlo ora.
Il passaggio è semplice: Benedetto Croce diceva che
fino a 18 anni tutti scrivono poesie, dopo restano a farlo solo i poeti e gli
stolti. Per evitare di finire nella seconda fascia ho lasciato perdere le
poesie e sono passato ai romanzi. Chissà che ne direbbe Croce.
5)
Per te che differenza c’è tra scrivere una poesia e scrivere un libro? Ti
suscita emozioni diverse?
Direi
che più che altro c’è una differenza di densità.
Nel senso che, semplificando, in una poesia si deve dire, in poche righe,
quello che un libro racconta in diverse pagine.
Pressappoco è la differenza che
c’è tra un superalcolico e la birra: ti ubriachi in entrambi i casi, ma con
tempi e quantità diverse. Non so se mi spiego.
6)
Se dovessi partire per un viaggio, quali sono i libri che porteresti con te?
Uff,
difficile, per fortuna hanno inventato l’e-reader così uno può portarne anche
d’avanzo.
Di solito, comunque, quando viaggio cerco di portare sempre: un saggio
(consiglio "Storia d’Italia", Paul Ginsborg che ho da poco terminato), un romanzo
di genere (e qui uno a caso di Fred Vargas va bene) e uno di narrativa, magari
divertente (mi viene in mente la serie dell’avvocato Malinconico, di Diego da
Silva).
Così ce n’è per tutte le situazioni.
7)
Passiamo ora a qualche domanda sul tuo libro…intanto perché hai scelto il
titolo “Tutto il villaggio lo saprà”?
Il
titolo deriva da un ipotetico ‘rituale’ egizio che sembra stia per avvenire a
Torino, che appunto prevede che "Tutto il villaggio" ne venga a conoscenza.
Visto che la frase ritorna spesso nel romanzo ho pensato che fosse carino
utilizzarla come titolo.
8)
Il protagonista della tua storia, il commissario Castelli, è davvero ben
caratterizzato…ti sei ispirato a qualcuno per dargli vita?
A
tante persone e a nessuna in particolare.
Per creare un personaggio credo sia
necessario avere molti punti di riferimento per costruire un’immagine fisica e
psicologica credibile. Così ho attinto a molte figure che nel tempo ho conosciuto
e che rispondevano al “tipo umano” che avevo in mente per Castelli: una persona
debole, amorale, senza valori.
Ecco che è venuto fuori un quarantenne affetto
da sindrome di Peter Pan, incerto se innamorarsi del transessuale Georgine
oppure della bella assistente Lucia, che non ha molta voglia di lavorare e che
fa quello che deve più per senso di colpa che per una vera attitudine.
9)
Perché hai scelto di ambientare il romanzo a Torino?
Perché
è la città più nera d’Italia, la più misteriosa, la più ambigua, la più magica
e, per certi versi, la più sorprendente.
Proprio come certe signore perbene della
borghesia torinese che sotto un dignitoso distacco nascondono un’anima
tigresca, un’attitudine assassina.
Come il Po è torbida e didascalica insieme.
E soprattutto perché "Torino è un modo
economico di vivere a Parigi", come dice Andrea Castelli, il protagonista
del romanzo.
10)
Tra tutti i luoghi torinesi che citi nel libro, qual è il tuo preferito e
perché?
Di
luoghi ce né un’infinità, con la possibilità di passare da angoli medievali a
prospettive neoclassiche fino alla magia del liberty.
Il fatto è che,
passeggiando per Torino, scoprendola davvero, non si può fare a meno di
percepire la sua aura magica, che impregna ogni cosa, e che lascia l’osservatore
sempre perplesso, come se ciò che sta guardando non sveli fino in fondo la sua
vera natura.
Ma non solo per quanto riguarda gli aspetti storici della città.
Anche il suo presente è curioso, variegato, incostante.
Come il Po, che con le
sue piene inonda periodicamente i Murazzi e i locali che abbondano su quegli
argini e, nonostante questo, discoteche e pub rinascono ogni volta e di nuovo
si riempiono di gente che le rianima. Non so in quante città ci sia un posto
così.
Per quanto riguarda me, forse il mio posto preferito è, banalmente,
Piazza Castello, così nettamente ortogonale e divisa tra linee d’ombra e luce,
a rispecchiare la sua anima a metà tra il bene e il male, essendo il centro
esoterico della città.
11)
Durante la lettura di tanto in tanto saltano fuori delle frasi di alcune
poesie, tra le quali anche di Gozzano. Si tratta di una sorta di omaggio alle
tue origini di poeta?
Anche.
Ma soprattutto è stato un espediente per caratterizzare ulteriormente il
protagonista, per renderlo anche leggermente surreale.
Al commissario Castelli
infatti, sovente, vengono in mente brani di poesie mandate a memoria da
bambino, ai tempi della scuola, così come la gente normale a volte canticchia
il ritornello del tormentone estivo.
La cosa particolare è che sono sempre
calzanti con la situazione che sta vivendo in quel momento, come a
sottolinearla, a chiarificarla. E poi, in effetti, era un modo per riprendere
alcune delle poesie e dei poeti che preferisco, e Gozzano è uno di questi.
12)
Hai incontrato difficoltà durante la stesura del libro, oppure è filato tutto
abbastanza liscio?
Di
difficoltà ce ne sono sempre, soprattutto nel far funzionare la trama che, in
quanto romanzo giallo, doveva essere precisa e ben oliata, altrimenti tutta
l’impalcatura narrativa viene giù come un castello di carte.
E poi è importante
riuscire a mantenere sempre lo stesso stile narrativo, la stessa
caratterizzazione per ogni personaggio perché ogni situazione risulti credibile
e coerente.
Scrivere è un lavoro simile a tanti altri, e come tale presenta
criticità. Penso a una sarta davanti a un vestito da realizzare o a un
falegname che sta per costruire un tavolo. Capiterà di certo di sbagliare, di
forarsi con un ago, di piallare un asse con troppo vigore, però poi si va
avanti, cercando di imparare dagli errori e mettendo a frutto l’esperienza
maturata.
13)
So che stai lavorando sul tuo secondo libro…ci potresti svelare solo qualche
piccolo dettaglio? Si tratta di nuovo di un giallo?
Esatto,
è di nuovo un giallo, sempre ambientato a Torino, in cui ritornano alcuni
personaggi del "Villaggio". Come anticipazione vi lascio una battuta chiave
del romanzo, un po’ ambigua, ma credo affascinante:
“Il
libro più diffuso nel passato, dopo le Sacre Scritture, è stato il Malleus Maleficarum, lo sapevi? Si
calcolano oltre trentacinquemila copie, tutte scritte a mano. Impressionante,
per l’epoca. È il testo cardine dell’inquisizione romana, il più approfondito
trattato sulle motivazioni della tortura. L’hanno scritto due frati domenicani:
Jacob Sprenger e Heinrich Institor Kramer, due veri geni.
Non è soltanto una dissertazione sui tormenti da infliggere agli eretici, ma un
vero e proprio elogio del supplizio, della sua più profonda natura, della sua
estetica raffinata. E la gente, il popolo, adorava questo testo. Perché, vedi,
commissario, la tortura non è una malattia, come dici tu. È un arte, che vanta
un vastissimo pubblico e pochissimi maestri dotati di talento. E questi pochi
eletti vengono sollevati agli onori del mondo, superiori ai propri simili, onnipotenti
agli occhi del mondo, parenti più prossimi di Dio.”
14)
Lo chiedo a tutti coloro che ho il piacere di intervistare…in base alla tua esperienza,
quale consiglio ti sentiresti di dare agli aspiranti scrittori?
Leggere,
leggere, leggere. Se non si ama la lettura è inutile mettersi a scrivere,
credo.
In Italia si calcola che ci siano circa 4 milioni di persone che hanno
nel cassetto il famoso romanzo, se non la silloge poetica, piuttosto che la
raccolta di racconti.
Il numero delle persone che legge invece, o meglio, che
acquista libri, è invece stimato intorno ai 2 milioni di unità.
Mi sembra
evidente che ci sia qualcosa di strano!
Fabio
l’intervista è finita e io ti ringrazio moltissimo per essere stato ospite
della Locanda dei Libri!
Spero
che potremo tornare presto a parlare del tuo secondo libro! In bocca al lupo
per tutto!
Crepi
il lupo e grazie a te per avermi ospitato!
Buona
lettura a tutti!
queste interviste mi incuriosiscono sempre tanto!
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