Buon inizio settimana a tutti voi carissimi lettori!
Oggi pubblico la recensione de "I diari della bicicletta", che era già programmata per la scorsa settimana, ma non ero riuscita a postarla.
Titolo: I diari della bicicletta
Autore: Gregorio Giungi
Editore: Gruppo Albatros Il Filo
Anno di pubblicazione: 2011
Autore: Gregorio Giungi
Editore: Gruppo Albatros Il Filo
Anno di pubblicazione: 2011
Formato: Brossura
Pagine: 199
Genere: Narrativa italiana
Prezzo di copertina: €15.90
TRAMA
I diari della
bicicletta raccontano la vera
storia di Enea Milesi. Più che una biografia dal sapore prettamente storico, è
un romanzo di avventure che cerca di illustrare i sentimenti del protagonista e
l'orrore della guerra. Enea è giovane e, dopo la morte in combattimento del
fratello, parte per il fronte nel 1916 con spartana determinazione,
distinguendosi per il suo coraggio, nonché per una certa sfacciata fortuna. È
la Prima Guerra Mondiale, "Grande Fiera della Carne Umana", combattuta
nel caos delle trincee e della disorganizzazione militare italiana. E poi la
Seconda, "subita da civile" nella paura viscerale per la propria
famiglia e la propria casa. Le Storie di
salotto e di trincea mostrano la vita privata ed intima dell'uomo che,
con gli amori e i drammi familiari, si snoda attorno ed attraverso le vicende
belliche, in cui condivide con i compagni "pane, sangue, pericolo e
merda", nell'affresco di un'epoca perduta e nella toccante testimonianza
di una generazione che sapeva sorridere davanti alla morte.
AUTORE
Gregorio Giungi è nato nel 1961. Conseguita la maturità classica,
si è laureato in Scienze Politiche. Intrapresa la carriera militare
nell'Esercito come Ufficiale, si è specializzato in Analisi Politico-Militare e
Comunicazione di Massa a Fort Bragg, negli Stati Uniti, per poi servire
nell'ambito delle Operazioni Speciali NATO dal 2004 al 2010.
È stato due volte in
missione in Afghanistan con ISAF in qualità di esperto in Analisi d'Area e
Comunicazione. Nel 2009 ha diretto il Centro Operazioni di Comunicazione di
KFOR a Pristina, in Kosovo.
Attualmente collabora con
riviste specializzate in analisi geo-politica, nonché con una conosciuta
agenzia internazionale di servizi per la Difesa con sede a Londra.
RECENSIONE
Questo libro mi ha portata un po’ indietro
nel passato, a qualche anno fa, quando mio nonno mi raccontava della sua vita e
della guerra, provata sulla sua pelle, vista con i suoi occhi.
Infatti il pregio de "I diari della bicicletta" è proprio questo: racconta la grande storia, quella che tutti conosciamo, ma non quella che abbiamo studiato sui libri di scuola, perché l'autore la narra dal punto di vista di un uomo che l'ha vissuta davvero.
E' la vera storia di Enea Milesi. Lo conosciamo prima da bambino, con i suoi ricordi e le sue nostalgie... Enea ci racconta delle estati passate nella villetta di Piano S. Lazzaro, a pochi chilometri da Ancona; di un nonno dal cipiglio severo, quel "patriarca era però onesto e buono".
Poi seguiamo Enea nella sua giovinezza, un ragazzo pieno di entusiasmo, di speranze e di quella buona dose di incoscienza, che macina chilometri su chilometri inforcando la sua bicicletta, quella che il padre gli ha regalato: l'Aquila, la vera gioia della sua adolescenza!
Finché arriva quel giorno in cui la spietata realtà della guerra investe anche la sua vita; Enea mette da parte tutti i vezzi e va a combattere la prima Guerra Mondiale, che gli ha già portato via il fratello.
Arriviamo a conoscere un Enea ormai uomo fatto e finito, con il peso degli anni di trincea sulle spalle, che vive la seconda Guerra Mondiale non più accompagnato dai suoi commilitoni, ma con una famiglia di cui occuparsi.
Enea, sempre scortato dalla "Dea bendata", riuscirà a scamparla anche questa volta, godendosi alcuni anni di quieta e meritata vecchiaia.
Ed è proprio in questa fase della sua vita che il protagonista mi ha suscitato più tenerezza. Mi ha toccata il modo in cui decide di lasciare questo mondo, senza "creare guai a chi resta", con la spietata consapevolezza del suo tempo ormai alle ultime battute, facendo seppellire i resti della sua vecchia Aquila, scrivendo a macchina questa storia per due giorni filati: "Non potevo andarmene senza lasciare a qualcuno tutto questo".
Una storia forte, scritta davvero molto bene, assolutamente coinvolgente anche perché è narrata in prima persona dal protagonista. Farcita da dialoghi in numerosi dialetti italiani, che mi hanno sinceramente divertita in alcuni punti... hanno reso la storia più caratteristica e credibile!
Mentre la prima fase della vita di Enea viene raccontata con passione e accuratezza, ho trovato un finale risolto in modo un po’ troppo sbrigativo. Questo comunque nulla toglie alla qualità del romanzo, che come dicevo prima, è valorizzato dalle intense ultime pagine.
Quando penso a come descrivere questo romanzo mi viene in mente un reale, a volte anche crudo, affresco di sentimenti umani.
Un libro che mi sento di consigliare soprattutto a chi apprezza il genere storico, ma che tutti secondo me dovrebbero leggere... non sarebbe male da proporre come lettura nelle scuole superiori.
E' una storia per la quale nutro davvero molto rispetto, che in qualche modo mi ha arricchita... e quando questo succede è sempre una medaglia all'onore.
Infatti il pregio de "I diari della bicicletta" è proprio questo: racconta la grande storia, quella che tutti conosciamo, ma non quella che abbiamo studiato sui libri di scuola, perché l'autore la narra dal punto di vista di un uomo che l'ha vissuta davvero.
E' la vera storia di Enea Milesi. Lo conosciamo prima da bambino, con i suoi ricordi e le sue nostalgie... Enea ci racconta delle estati passate nella villetta di Piano S. Lazzaro, a pochi chilometri da Ancona; di un nonno dal cipiglio severo, quel "patriarca era però onesto e buono".
Poi seguiamo Enea nella sua giovinezza, un ragazzo pieno di entusiasmo, di speranze e di quella buona dose di incoscienza, che macina chilometri su chilometri inforcando la sua bicicletta, quella che il padre gli ha regalato: l'Aquila, la vera gioia della sua adolescenza!
Finché arriva quel giorno in cui la spietata realtà della guerra investe anche la sua vita; Enea mette da parte tutti i vezzi e va a combattere la prima Guerra Mondiale, che gli ha già portato via il fratello.
Arriviamo a conoscere un Enea ormai uomo fatto e finito, con il peso degli anni di trincea sulle spalle, che vive la seconda Guerra Mondiale non più accompagnato dai suoi commilitoni, ma con una famiglia di cui occuparsi.
Enea, sempre scortato dalla "Dea bendata", riuscirà a scamparla anche questa volta, godendosi alcuni anni di quieta e meritata vecchiaia.
Ed è proprio in questa fase della sua vita che il protagonista mi ha suscitato più tenerezza. Mi ha toccata il modo in cui decide di lasciare questo mondo, senza "creare guai a chi resta", con la spietata consapevolezza del suo tempo ormai alle ultime battute, facendo seppellire i resti della sua vecchia Aquila, scrivendo a macchina questa storia per due giorni filati: "Non potevo andarmene senza lasciare a qualcuno tutto questo".
Una storia forte, scritta davvero molto bene, assolutamente coinvolgente anche perché è narrata in prima persona dal protagonista. Farcita da dialoghi in numerosi dialetti italiani, che mi hanno sinceramente divertita in alcuni punti... hanno reso la storia più caratteristica e credibile!
Mentre la prima fase della vita di Enea viene raccontata con passione e accuratezza, ho trovato un finale risolto in modo un po’ troppo sbrigativo. Questo comunque nulla toglie alla qualità del romanzo, che come dicevo prima, è valorizzato dalle intense ultime pagine.
Quando penso a come descrivere questo romanzo mi viene in mente un reale, a volte anche crudo, affresco di sentimenti umani.
Un libro che mi sento di consigliare soprattutto a chi apprezza il genere storico, ma che tutti secondo me dovrebbero leggere... non sarebbe male da proporre come lettura nelle scuole superiori.
E' una storia per la quale nutro davvero molto rispetto, che in qualche modo mi ha arricchita... e quando questo succede è sempre una medaglia all'onore.
Alcune citazioni dal libro che mi hanno
particolarmente colpita...
“Oggi
sono convinto che ognuno di noi, nella vita, attraversi almeno un periodo in
cui vorrebbe che il tempo si fermasse, in cui tutto sembra perfetto e
meritevole di essere cristallizzato, come un'opera d'arte creata
dall'esistenza.”
“Alcuni mi abbracciarono, altri mi strinsero la mano, tutti mi guardarono sorridendo con occhi che esprimevano quel che c’era nel cuore, e non vi trovai nulla di brutto né di bello, ma qualcosa di importante. Trovai in quegli occhi più di diciotto mesi di guerra passati insieme e tutto quello che in essi c’era capitato. Ognuno di quei volti mi ricordava qualcosa che avevamo condiviso e che ci legava. […] le facce dei fratelli che la guerra mi aveva dato per compensarmi di quello che mi aveva tolto. Dimenticarli, sarebbe stato il peccato che non mi sarei mai perdonato.”
“Strana bestia, la guerra. Ti tira fuori emozioni che non crederesti mai sia possibile provare.”
“[...] guardandoci in faccia nell’incerta luce del primo mattino si vedeva l’amarezza immensa che provavamo. E nessuno infranse la regola di quel silenzio. Nessuno disse: “Bé, speriamo di non aver ammazzato italiani. Speriamo di non aver sterminato delle famiglie. Speriamo che i loro bambini fossero altrove, al sicuro”. Ci sembrava, col silenzio, di esorcizzare questa eventualità, di mettercene al riparo. Meglio non dirlo nemmeno. Le parole sono evocative, il silenzio aiuta l’oblio. Quello che non dici, non esiste.”
“Ero cambiato. La guerra mi aveva offerto un panorama esteso e completo dell'animo umano, incluso il mio. Nel suo orrore, essa è un trionfo della Verità, che fa venire alla luce tutta la grandezza e tutta la meschinità dell'uomo. E poiché l'uomo è quello che è, la meschinità compare più frequentemente della grandezza.”
“Da quel momento in avanti i miei doveri li avrei scelti, non subiti. Avrei apprezzato il valore delle piccole cose, senza mai negare né dimenticare il valore di quelle più grandi.”
“Alcuni mi abbracciarono, altri mi strinsero la mano, tutti mi guardarono sorridendo con occhi che esprimevano quel che c’era nel cuore, e non vi trovai nulla di brutto né di bello, ma qualcosa di importante. Trovai in quegli occhi più di diciotto mesi di guerra passati insieme e tutto quello che in essi c’era capitato. Ognuno di quei volti mi ricordava qualcosa che avevamo condiviso e che ci legava. […] le facce dei fratelli che la guerra mi aveva dato per compensarmi di quello che mi aveva tolto. Dimenticarli, sarebbe stato il peccato che non mi sarei mai perdonato.”
“Strana bestia, la guerra. Ti tira fuori emozioni che non crederesti mai sia possibile provare.”
“[...] guardandoci in faccia nell’incerta luce del primo mattino si vedeva l’amarezza immensa che provavamo. E nessuno infranse la regola di quel silenzio. Nessuno disse: “Bé, speriamo di non aver ammazzato italiani. Speriamo di non aver sterminato delle famiglie. Speriamo che i loro bambini fossero altrove, al sicuro”. Ci sembrava, col silenzio, di esorcizzare questa eventualità, di mettercene al riparo. Meglio non dirlo nemmeno. Le parole sono evocative, il silenzio aiuta l’oblio. Quello che non dici, non esiste.”
“Ero cambiato. La guerra mi aveva offerto un panorama esteso e completo dell'animo umano, incluso il mio. Nel suo orrore, essa è un trionfo della Verità, che fa venire alla luce tutta la grandezza e tutta la meschinità dell'uomo. E poiché l'uomo è quello che è, la meschinità compare più frequentemente della grandezza.”
“Da quel momento in avanti i miei doveri li avrei scelti, non subiti. Avrei apprezzato il valore delle piccole cose, senza mai negare né dimenticare il valore di quelle più grandi.”
Wow...mi sembra davvero bello :) e le frasi tratte dal libro...sono stupende <3 <3
RispondiEliminaCiao bella! Mi sono persa un bel pò di tuoi post in questi giorni, ma in ufficio non mi lasciano respirare!
RispondiEliminaI nostri pareri non sono esattamente uguali su questo libro, io ho trovato abbastanza noiosa la parte iniziale... ma c'è da ammettere che io odio i romanzi storici quindi un punto a favore dell'autore va per il fatto che sia riuscito a coinvolgermi fino alla fine, generalmente questo tipo di storie le abbandono dopo 20 pagine!
Ciao Saretta!
EliminaSicuramente il genere storico è particolare...non a tutti piace ed appassiona.
Come già ti avevo accennato, sarà che io sono cresciuta con racconti di questo tipo, grazie a mio nonno, e non mi sono nemmeno nuovi perchè ho fatto la mia tesina di maturità sulle donne partigiane, pertanto ho letto molti romanzi di questo genere...quindi il libro non mi è affatto dispiaciuto!